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E’ indispensabile, per me, quando guardo ad un nuovo paesaggio, osservare in esso gli elementi consolatori che la trasformazione ambientale riesce a far emergere al mio sguardo. Dei luoghi, chiusi nello spazio di un fotogramma, dove io possa trovare un senso armonico delle cose. Ecco la periferia e le complanari, spazi anonimi a cui viene dato un “nome”, nelle quali un segnale ritorto assume il carico simbolico dell’identità di quei posti. E’ il paesaggio dello “scarto”, quello che nessuno vuole vedere perché sinonimo di sfacelo, ed è anche per questo il paesaggio del fotografo che racconta episodi del suo tempo. La stratificazione dei segni è appena cominciata, bisogna che io mi fermi e che la “guardi”.                                               

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